Fede e follia, al tempo del Coronavirus COVID-19, viaggiano a velocità diverse. O meglio, la seconda si aggira indisturbata, visto il blocco della circolazione anche per chi prega.
E allora, come uscirne? In chiesa o in moschea come in posta: a turno, in ordine alfabetico. Lo si fa al supermercato, per nutrire il fisico.
Ma anche l’anima reclama la sua parte, alimentandosi con la Parola di Dio perché ‘Non di solo pane vive l’uomo’, come ricordano le Sacre Scritture. E questo vale per tutti: cristiani, buddisti, ebrei, musulmani e ogni credo.
Si va a scaglioni a ritirare le pensioni, facciamolo pure per i luoghi di culto. In ordine, ma con buon senso. Per prevenire, anche, l’insinuarsi di fenomeni depressivi che rischiano di sfuggire al controllo, personale e di massa insieme.
Perché la psicosomatica non è un’opinione, e il mondo attuale – secolarizzato all’ennesima potenza – sa bene che uno spirito in sofferenza, una mente malata, possono contagiare in fretta anche l’organismo, in contesti anomali quali quello di una fattiva reclusione forzata senza aver nessuno commesso il fatto.
Dato l’isolamento totale, così come per i cattolici la Santa Messa rinfranca animi e cuori, coadiuvando la tenuta sociale del Paese, specie per chi vive in sovrannumero in spazi angusti e ristretti, lo stesso vale anche per tutte le altre espressioni religiose esistenti.
Fortunatamente, nel mondo, non tutti i Paesi colpiti dall’emergenza Covid-19 hanno deciso per la serrata in massa dei luoghi di culto.
Come racconta il ‘The Guardian’, non si capisce perché sabato 28 marzo scorso, il giorno seguente la benedizione con tanto di indulgenza ‘urbi et orbi’ impartita da Papa Francesco in una surreale Piazza San Pietro brulicante di silenzio e traboccante di inedita spiritualità, i sacerdoti ortodossi –al contrario dei loro confratelli italiani- in Russia abbiano deciso di aprire le porte dei loro luoghi di culto per officiare le funzioni.
E questo in nome del sacrosanto diritto all’espressione della propria libertà religiosa, motivazione addotta ai media. Molti fedeli, soprattutto anziani, hanno altresì fatto ressa per ricevere la comunione nella Cattedrale di Kazan a San Pietroburgo.
Fede versus burocrazia, uno a zero. Almeno lì. Ove i contagi sono pressocchè nulli, al contrario di altrove.
In Polonia, invece, si era partiti con l’acconsentire all’ingresso nelle chiese di 50 fedeli alla volta,numero ridotto poi a 5, dato l’avanzare della pandemia, come disposto dall’arcivescovo Stanislaw Gądecki, capo dell’Episcopato nazionale. Ma è già pur sempre qualcosa.
Chiese aperte pure in Siria, con il vescovo Denys Antoine Chada, guida dell’episcopato cattolico di Aleppo, che ha rivolto l’invito di un incontro pubblico di preghiera ai cristiani di tutti i riti al grido di «Il nostro Paese è protetto da Dio. Abbiamo sconfitto altri virus, come l’Isis, sconfiggeremo anche questo». Quanta forza dà la fede totale nell’Onnipotente. Italia impara, prendi esempio.
In Georgia e Romania si continuano persino a officiare celebrazioni religiose. Optando persino per la distribuzione dell’Eucarestia, con modalità differenti da quelle cattolica. Come? Ricorrendo, da buoni ortodossi quali sono laggiù, al ‘rito del cucchiaio’: lo stesso che passa di bocca in bocca per consentire ai fedeli di bere del vino consacrato sull’altare. Un po’ come quando, anche fra i fedeli di Santa Romana Chiesa, in determinate occasioni dell’anno, insieme all’ostia consacrata, viene consentito di bere dal ‘Calice della Vita’.
Quel che è certo è che in quelle terre credono, pregano e sperano molto più che qui. Sulla scorta di quanto afferma San Paolo, per cui «tutto posso in Colui che mi dà forza». Perché, per il dogma della transustanziazione che sancisce l’evoluzione delle specie del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo, nutrirsi del sacrificio della Vita può – per chi crede davvero – soltanto giovare ai fedeli, senza che ciò si faccia veicolo di malattie o epidemie.
Vi è poi invece chi, come padre Alberto Maggi del Centro Studi Biblici ‘Giovanni Vannucci’ di Montefano, fra i teologi più gettonati della tv, per cui la preghiera personale, importantissima, al momento però pare contare più delle funzioni collettive, Santa Messa in primis.
‘Reo’, ospite di ‘Otto e Mezzo’ da Lilli Gruber su La7 del 28 Marzo scorso di affermazioni del tipo «Le chiese sono un luogo per la trasmissione delle infezioni incredibile. Lo sappiamo che cosa fa la gente in chiesa: tocca, struscia bacia, sbaciucchia».
Le pare il modo di parlare della devozione popolare, Don? ‘Ab uno disce omnis’.
Ma anche «La chiesa resta chiusa perchè il virus non distingue tra chi ha fede e non ce l’ha. Lui colpisce tutti quanti». L’esatto contrario di quanto pensano, fatti alla mano, i cristiani romeni e siriani (ma anche quelli veraci e ferventi di casa nostra). Intanto, ‘veritas filia temporis’. Solo i giorni che verranno potranno dire chi avrà avuto ragione.
E la Sua, di fede, dov’è, Reverendo? Sotto ai piedi, per non dire altro? Il rottamatore mediatico dei fedeli 3.0 addita al pubblico ludibrio pure «quei gruppi di fanatici che si radunano di nascosto, celebrano l’eucaristia, al momento della comunione bevono tutti allo stresso calice: “Tanto non è vino, è il sangue di Cristo’, dicono: ma si può esser più scemi?».
Che cosa non si fa per vero amore di Cristo. Fortuna che ‘Siamo tutti sacerdoti’, come dice la Bibbia. Anche senza bisogno di essere celebranti, officianti e consacrati, caro Padre.
Suoni pure contento e convinto le sue campane in quel di Macerata, che a celebrare debitamente il Signore nei fatti ci pensano altri: tutti quei sacerdoti in prima linea sul fronte povertà. Eroi del quotidiano di cui nessuno nei fatti parla mai abbastanza.
Nonostante che le chiese restino aperte, come autorevolmente afferma il Professor Alessandro Meluzzi, intellettuale acuto, resta un fatto gravissimo proibire al popolo ‘innamorato di Cristo’ l’accesso alla vita sacramentale.
Ignorano, forse, i ministri italiani del culto, che sono ormai quasi trascorsi 48 anni da quel 29 giugno del 1972, ricorrenza tradizionalmente dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, in cui San Paolo VI, al secolo Papa Montini, parlò al mondo del nemico di Dio per antonomasia, sottolineando apertamente che «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa».
Aperta l’emergenza, chiuse le chiuse. Subito. Non un vertice religioso che si sia opposto, non uno in Italia. Ben lontani i tempi delle spoglie di San Carlo Borromeo in giro sotto la Madunina (o a pregarLa sul tetto del Duomo, come ha fatto l’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini) a implorare pietà e guarigione. Altri uomini, altri cuori, altra fede.
Comprese le rogazioni, del tutto accantonate dagli ecclesiastici contemporanei: commoventi e commossi atti di penitenza uniti a processioni propiziatorie a implorare guarigioni e pioggia, da troppo tempo anch’essa assente con tutta la sua forza purificatrice.
Logico, per chi crede, sospettare che la strana coincidenza dell’avvio del Coronavirus nel nostro Paese con l’inizio della Quaresima, il tempo liturgico fondante la fede cattolica (era il 23 febbraio, il 26 è saltato anche il ‘Mercoledì delle Ceneri’), possa per lo più essere letta come un aperto e violento attacco del Maligno al cuore della Cristianità. Al Santissimo Sacramento.
A quell’Eucaristia ‘rendimento di grazie’ istituito dal Signore Gesù stesso in tempo pasquale oggi irrimediabilmente negato ai fedeli. Recluso nei tabernacoli come una qualsiasi reliquia dentro un ostensorio.
Proibendo la messa, si danneggia la fede. Quando, addirittura, anzi non la si indebolisce o cancella, in questi fragili tempi moderni dagli umori ballerini ove un clero asfittico e sconfitto pare più abile nell’allontanare che radunare pecore, smarrite e non.
E, fatto ancor più grave, sono in tanti fra gli opinionisti dell’ultima ora – saccenti, fintamente sapienti e presuntuosi di ogni specie – che popolano ogni sera i più seguiti talk-show.
Inclusi presbiteri globalizzati e calati mani e piedi nelle cose del mondo. Ormai estranei anche alla propria stessa ordinazione e vocazione, che paiono a tutti i costi voler far passare i credenti legati ai sacramenti come creduloni.
A farsi maldestramente complici nell’accettare passivamente il dominio totalizzante dell’umana lex sulla ratio divina. Quasi fossero semplicemente puro gregge alle spalle di un pastore.
Ma c’è di più. Ha ragione Vittorio Sgarbi nel definire lo svilimento di chiese e celebrazioni eucaristiche ‘una bestemmia di Stato’. Colpa anche dei vescovi della Cei, zitti e asserviti come zerbini alle norme vigenti.
E intanto, mentre il virus avanza, siamo passati dal diniego al culto di Dio all’idolatria mediatica dei vari Burioni, Capua, Crisanti, Pregliasco e altri, ormai arruolati quali Richelieu del Premier ‘Giuseppi’ Giuseppe Conte.
Tutta gente sconosciuta ai più prima della pandemia, ritenuti loro malgrado tuttologi oltre che virologi, con il rischio di orientare ogni scelta attuale, religione inclusa. Non sbaglia Matteo Renzi quando afferma il necessario distanziamento fra scienza e politica: la prima faccia le analisi, la seconda invece indichi la strada.
Il diritto alla salute, al contrario di quello che pensano in molti, non è unico. Univoco. E’, piuttosto, un qualche cosa di ben più simile alla Santa Trinità di matrice cattolica.
Uno e trino: corpo, anima, mente sullo stesso piano. E come tale va considerato, ragionato, difeso e curato.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
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